3 maggio 2018

DAL DIARIO DI PRIGIONIA DI ERNESTO BONACINI UNA COMMOVENTE STORIA DI AMICIZIA : GIUSEPPE MEDICI SOLDATO EROE DI CASALGRANDE



di Elisa Bonacini

Un appello accorato. Voglio dire grazie ai familiari di Giuseppe Medici di Casalgrande che aiutò mio padre a sopravvivere nel campo di Zeithain.
Mio padre Ernesto Bonacini internato militare durante la seconda guerra mondiale nel Reserve Lazzaret dello Stammlager IV B di Zeithain in Germania.
 Una richiesta specifica che ho inviato ad alcune  testate giornalistiche di Reggio Emilia  con la finalità di ritrovare i parenti di Medici dopo che le ricerche effettuate personalmente non hanno dato alcun esito.
Nato a Reggio Emilia nel 1923, ma residente dal 1967 ad Aprilia (LT) ove è deceduto nel 1999 , Ernesto è sempre stato molto legato alla città di Reggio. Dopo l’ armistizio dell’ 8 settembre 1943 si trovava in Grecia ove venne catturato dai nazisti e deportato nel lager in Germania.
Il suo “diario di guerra e prigionia” dopo la storia dell’ufficiale medico Ermete Fontanili di Reggiolo, medico esemplare nell’ospedale militare di Agrinion in Grecia dopo l’8 settembre 1943, ha svelato un’altra bella storia. Sono le pagine dei giorni di lotta con la morte ed i soprusi dei nazisti, le parti più dolorose del diario che Ernesto ha nascosto per tutta la vita anche ai figli. Tra quelle righe sbiadite dal tempo una commovente storia di amicizia e solidarietà tra compagni di baracca. Protagonista ancora un reggiano.


 A rischio della propria vita, con mio padre febbricitante di malaria in branda nella baracca, Giuseppe Medici si preoccupava dello stato di salute di mio padre e della sua alimentazione, arrivando addirittura a sottrarre per lui dei viveri (patate) nel magazzino dei tedeschi.


Se se ne fossero accorti probabilmente sarebbe stato fucilato o massacrato a bastonate, come hanno raccontato alcuni sopravvissuti. Spero con l’aiuto delle testate giornalistiche reggiane di poter arrivare a ringraziare i familiari di questo grande uomo, un “eroe” in quel contesto dove regnava tanta cattiveria. Il pezzo del diario in riferimento pare tratto dal libro “Cuore” e invece non è un romanzo, è un racconto reale. Ernesto cita il suo amorevole compagno di sventure. Giuseppe, un vero amico, persona rara in ogni tempo. Chi non vorrebbe al mio posto dire grazie ai familiari di questo grande uomo che probabilmente non è tornato a casa? Giuseppe si ammalò gravemente pochi giorni dopo, come letto nel diario, chissà se ce l'ha fatta.
Le sofferenze degli IMI nei campi nazisti sono state sottovalutate per troppo tempo. I nostri soldati pagarono sulla propria pelle le conseguenze dell’armistizio tenendo fede a costo della propria vita al giuramento patrio. Solo una piccola percentuale optò per la collaborazione con i nazisti.
Furono circa 616.000 i militari italiani internati: tra questi circa 50.000 non sopravvissero in prigionia e migliaia morirono al rientro in Italia per le malattie contratte nei lager .
Dal 2011 sto portando avanti il progetto divulgativo “Memoria agli IMI 1943-1945” (IMI acronimo di Internati Militari Italiani) e mi sto battendo affinché nella mia città di adozione , Aprilia (LT) e a Reggio Emilia, città in cui sono orgogliosa di essere nata, venga intitolata loro una strada. Spero che la richiesta già protocollata al sindaco Luca Vecchi venga presto presa in considerazione.



DAL DIARIO DI  GUERRA E PRIGIONIA DI ERNESTO BONACINI 

Zeithain 17 febbraio 1944 (ndr : il lavoro sotto i Kapò italiani optanti)
Abbiamo iniziato questa mattina alle sei e abbiamo continuamente lavorato sino alle 11. I nostri aguzzini sono i nostri compatrioti e ci invitano tutt'altro che cortesi a spicciarci, rinfacciandoci di quelle due patate che ci hanno dato dopo tre ore di fatica.
Maledetti, non vedete che a stento ci reggiamo in piedi ! Non osservate i nostri visi sofferenti ? Voi non avete sofferto come noi la fame!
Sul mezzogiorno mi sento venir meno, sento che le forze man mano diminuiscono. Nevica. Ho sete e avido bevo l'acqua ghiaccia. Poco dopo devo assentarmi, un brivido di freddo tutto mi scuote ed a stento raggiungo la baracca. Mi sento il polso. Ho la febbre, mi corico. Man mano i brividi aumentano, un'orribile cefalea mi prende, non comprendo più nulla, non vedo più nulla, non penso ad alcuna cosa...Medici di tanto in tanto si avvicina cercando di portarmi un poco di conforto. Caro amico quel Medici , ci siamo trovati in tanta miseria.

 Zeithain 18 febbraio 1944 
“Accesso malarico” mi dice il medico che m'interroga senza controllare il polso. Come un lebbroso abbandonato da tutti soffro maggiormente il mio male.
La malaria è una strana malattia, ti trovi ancora intontito dall'alta febbre, che già ti senti lo stimolo dell'appetito. Il parassita ha distrutto i globuli rossi ed ora l'organismo sente la necessità di fabbricarne dei nuovi.
Se non avessi una madre e un padre mi lascerei trasportare lentamente alla morte, ma il pensiero costante ai miei cari mi dà forza e coraggio. (…)
mi faccio coraggio, c'è un bolognese (cognome non interpretabile) che è capo cucina,.mi farò riconoscere, dirò loro che ho lavorato sino ad un attimo prima che mi prendesse l'attacco, dirò  che ho fame,  chiedo loro solo delle bucce di quelle patate che nella cottura  si sono frantumate.
Non esiteranno, forse faranno a gara mi doneranno anche della loro squisita zuppa. Febbricitante  mi alzo dal letto con la sola forza di volontà, le gambe mi reggono. Mi metto il sudicio cappotto  e mi  incammino verso la cucina pieno di speranza .
Mi raffiguro ...... (n.d.r. parole illeggibili) un paesano che timoroso va in città e chiede lavoro al più aguzzino capitalista. Entro  nell'ampia cucina avvolta in una nube di vapore , mi avvicino al caporalmaggiore, mi faccio coraggio, gli spiego; egli finge di ascoltarmi e quando dopo una breve storia gli chiedo quel sudicio frantume di patate che nel pomeriggio verranno buttate nella fossa delle immondizie, questo mi scaccia villanamente. Io non mi perdo d'animo, c'è ancora chi mi può aiutare.
Ecco è  lo chef che arriva: per cortesia… (n.d.r. non leggibile)… niente ….gli avessi chiesto tutto  Il suo tesoro.
Afflitto, affamato, umiliato, senza alcuna speranza mi corico in branda per piangere sotto le coltri. 
Ripenso con nostalgia a quei monti in quella lontana Grecia ... seguono frasi illeggibili ) magari fossi morto laggiù combattendo che morire di fame in questa squallida baracca (.....)
Ma c'è chi dà amore, c'è chi si distingue dalla massa che mi fa scherno, ed è  Giuseppe Medici .
Si avvicina alla branda, "Mangia" mi dice, offrendomi una colossale patata ancora fumante e ancora calda……. (ndr. parole poco leggibili) … “ Ti ringrazio, Medici, so quanto ti costi” rispondo, lo mangerò questa sera .
Non erano passati che pochi minuti che lo vedo di ritorno, "mi raccomando di cucinare bene questo ben di Dio" mi dice e dalle tasche del pastrano prima e da quelle della giacca e dei pantaloni è un uscire di prosperose patate, "queste" prosegue “non danneggiano alcuno perché sono del magazzino dei tedeschi e quindi non subentrano nella razione”.
Sono da poco intenso nella mia mansione di cucinare che il brivido di tanto in tanto mi fa fortemente tremare , mi sento la febbre ed a malincuore sono costretto a mettermi in branda in preda ad un nuovo accesso malarico. Medici ritornando questa sera non troverà quanto si aspettava. Addolorato attendo il suo ritorno. Giornata infernale questa di oggi, un freddo glaciale.
Sono passate da poco le 17 , è già notte e Medici ritorna fradicio e tremante.
Chiede di me non vedendomi e si avvicina alla branda, mentre io raggiunto l'apice della febbre…...( parole non leggibili) "Non ho combinato nulla" gli dico, "questa maledetta malaria mi ha colto anche oggi."
"O non fa nulla" mi risponde "ho portato con me un po' di roba"; così anche se questa sera andrò a letto tardi per cucinare domani riposerò di più. Lo lascio quindi intento nella cucina mentre io penso al suo nobile cuore.
Sul tardi vengo svegliato dolcemente, "La cena è pronta" mi dice. "Coraggio Ernesto, questo è da dividere", ma quanto innanzi non mi stuzzica l'appetito forse anche perché mi sento enormemente debole. Mi sforzo, spinto anche dalle parole fraterne del Medici, ma tutta la mia metà non riesco a mangiarla e il rimanente l’ ho finito svegliandomi oltre la mezzanotte mettendo fine a quanto mi era rimasto.

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