2 dicembre 2018

RICERCA GIUSEPPE MEDICI COMPAGNO DI PRIGIONIA DI ERNESTO BONACINI : CONTATTATA LA REDAZIONE DI “CHI L’HA VISTO?”



nel 2012 il programma di Rai 3 consentì ad Ennio Borgia di abbracciare i fratelli di Osvaldo Fiata prigioniero con lui a Dachau 

di Elisa Bonacini

Grazie all'appello che rivolsi nel 2012 a “Chi l'ha visto?” Ennio Borgia poté conoscere i fratelli di Osvaldo Fiata, il ragazzo romano compagno di prigionia nella baracca 25 del lager di Dachau durante la seconda guerra mondiale. Alla trasmissione di Rai 3 avevano assistito (cosa che ha dell’incredibile) i fratelli Maria Paola ed Osvaldo Fiata, nati nel dopoguerra.
“Osvaldo fu per me un vero protettore” - mi aveva raccontato con gli occhi lucidi Ennio - mi difese da tutte le prepotenze che avrei potuto subire nel campo da parte degli altri prigionieri, ed anche dalle violenze sessuali. Imparai da lui come sopravvivere a Dachau”. E il desiderio di poterlo rivedere che tentai di realizzare. L’incontro non fu più possibile, purtroppo, ma furono i fratelli Fiata che qualche giorno dopo raggiunsero Borgia ad Aprilia. Dalla documentazione in loro possesso venimmo a conoscenza che Osvaldo morì a Dachau nei giorni precedenti la liberazione del campo, periodo in cui Ennio ed Osvaldo erano divisi. Fu un abbraccio commovente presso l’abitazione di Borgia, un ricordo che conserverò sempre nel mio cuore. 


Sono trascorsi già alcuni mesi e le ricerche su Giuseppe Medici di Casalgrande (RE) il soldato che aiutò mio padre Ernesto a sopravvivere nel campo IV B di Zeithain in Germania non hanno dato l’esito sperato; nessun riscontro se non quello anagrafico relativo alla nascita. Ho ritentato pertanto il contatto con “Chi l’ha visto”. La richiesta inviata alla redazione tramite e-mail il 28 novembre per trovare almeno i discendenti; nato intorno agli anni 20 è molto difficile sia ancora in vita, ma ho comunque l’impegno morale di dire grazie a chi fu vicino a mio padre assistendolo sia moralmente che materialmente in quelle condizioni di cattività.
Ernesto Bonacini a Zeithain
Il bel rapporto di amicizia tra mio papà e Giuseppe è emerso dalla trascrizione del diario di guerra e prigionia di mio padre, diario che conservava gelosamente e che ho potuto leggere solo dopo la morte. Lì scritta la storia di un ragazzo di 20 anni come tanti costretto alla partenza per la guerra ed a subire la prigionia in un campo di concentramento nazista dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Catturato dai tedeschi in Grecia sebbene ancora ricoverato nell’ospedale militare di Agrinion per una grave forma di malaria. Pagine ingiallite dal tempo, righe scritte con inchiostro sbavato e calligrafia incerta, sempre più spigolosa, quasi illeggibile con il passare dei giorni nel campo lazzaretto di Zeithain e l’acuirsi degli accessi malarici, della fame e dei soprusi dei nazisti. In quelle pagine impressa tra le lacrime la lotta quotidiana con la morte, sorretto Ernesto solo dal pensiero di potersi ricongiungere ai propri cari, al fratello adorato il suo bersagliere Dante che non sapeva già morto in Russia. Ma come un fiore può sbocciare tra le pietre, nei terreni più aridi e impervi, così pure in quel contesto dove regnava egoismo e tanta cattiveria, come arcobaleno dopo il peggiore temporale ecco comparire nel diario sentimenti che sembrano non soccombere neppure in quelle condizioni. Tra quelle righe che a fatica sono riuscita a decifrare una storia di amicizia e solidarietà tra prigionieri. che pare tratta dal libro “Cuore”. Lui, l’eroe buono è un soldato del territorio reggiano, l’indirizzo riportato in bella calligrafia in un foglietto tra le pagine del diario, tra i nominativi degli amici degni di nota, da ricordare.
Scrive mio padre dopo una crisi febbrile che lo ha colto sul lavoro nel lager: “Medici di tanto in tanto si avvicina cercando di portarmi un poco di conforto. Caro amico quel Medici, ci siamo trovati in tanta miseria.” Altra crisi febbrile in baracca, scrive Ernesto: “Si avvicina alla branda, "Mangia" mi dice, offrendomi una colossale patata ancora fumante. “Ti ringrazio, Medici, so quanto ti costi, la mangerò questa sera quando starò meglio”. Non erano passati che pochi minuti che lo vedo di ritorno. "Mi raccomando di cucinare bene questo ben di Dio" mi dice e dalle tasche del pastrano prima e da quelle della giacca e dei pantaloni è un uscire di prosperose patate. "Queste" prosegue “non danneggiano alcuno perché sono del magazzino dei tedeschi e quindi non subentrano nella razione. (…) Sono passate da poco le 17, è già notte e Medici ritorna fradicio e tremante. Chiede di me non vedendomi e si avvicina alla branda, mentre io ho raggiunto l'apice della febbre. "Non ho combinato nulla" gli dico, "questa maledetta malaria mi ha colto anche oggi." "Oh, non fa nulla" mi risponde “anche se questa sera andrò a letto tardi per cucinare domani riposerò di più.” Lo lascio quindi intento nella cucina mentre io penso al suo nobile cuore. Sul tardi vengo svegliato dolcemente. "La cena è pronta" mi dice. "Coraggio Ernesto, questo è da dividere", ma quanto innanzi non mi stuzzica l'appetito forse anche perché mi sento enormemente debole. Mi sforzo, spinto dalle parole fraterne del Medici.”
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Oltre al sostegno morale, come si evince da queste righe, Giuseppe si preoccupava di mio padre arrivando addirittura a sottrarre per lui viveri dal magazzino dei tedeschi. Se si fossero accorti del furto Giuseppe sarebbe stato fucilato o massacrato a bastonate, come ben mi hanno raccontato alcuni sopravvissuti dei campi di concentramento.
Nel diario a fine febbraio del 1944 mio padre riporta che Giuseppe era ammalato e notevolmente dimagrito, “trasfigurato nel volto”. Poi più nessuna traccia nel diario. Vorrei sapere se il suo “nobile cuore” è tornato a casa dopo l’inferno della prigionia in Germania. Vorrei sapere se lui, come mio padre, ce l’ha fatta. La risposta, forse, nel programma “Chi l’ha visto?”.
                                                                        

la copertina  del diario di guerra e prigionia di Ernesto






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