3 settembre 2013

ANTONINO CORTESE: “SONO NATO AL FARO DI ANZIO”. Figlio di uno dei primi fanalisti visse al faro quasi tutto il periodo della guerra

di Elisa Bonacini 



PRO SALUTE NAVIGANTIUM: queste parole sono state incise in data 1866 nella lapide di marmo presente nel faro di Anzio per volontà di Papa Pio IX, che fece edificare il faro nella suggestiva posizione sovrastante i resti dell'antica villa di Nerone. 
Ancora oggi le parole del Pontefice esprimono la funzione dei fari e dei segnalamenti marittimi: salvaguardare la sicurezza di coloro che per lavoro o per diletto, affidano la propria vita al mare.
Il rassicurante fascio di luce intermittente che accarezza i naviganti nelle notti più buie è quindi un elemento irrinunciabile, anche per le imbarcazioni fornite delle più moderne tecnologie di navigazione.

Ma i tempi cambiano: il romantico e pittoresco “guardiano del faro” con barba bianca e pipa in bocca che viveva solitario nel faro sugli isolotti rocciosi più sperduti e che osservava assorto nei suoi pensieri l'infrangersi spumeggiante delle onde sugli scogli, tra stridii di gabbiani e contrabbandieri senza scrupoli (come nella più classica narrativa), non esiste più. Nei fari più disagiati il personale è stato rimosso ed il servizio è assicurato da controlli periodici ed assistenza tecnica specializzata. Dalla metà degli anni '80 la Marina Militare ha avviato infatti un programma di ammodernamento del Servizio dei Fari e del Segnalamento Marittimo che vede sempre più l'utilizzo di apparecchiature ed impianti elettronici all'avanguardia, completamente automatizzati.
I “guardiani del faro”  hanno visto così cambiare nel tempo la loro qualifica professionale e le loro mansioni : da Tecnici dei fari a Faristi; da qualche anno Operatori nautici ed Assistenti tecnici nautici.
Antonino Cortese con alle spalle la lapide marmorea del 1866
Ma c'è chi ha vissuto un'epoca in cui il loro lavoro era davvero molto faticoso, impegnativo ed anche abbastanza rischioso. Ce lo racconta Antonino Cortese classe 1926, nato al faro di Anzio, figlio di uno dei primi “guardiani del faro”. L'Associazione “ un ricordo per la pace ” ha realizzato qualche tempo fa, con il suo gentile consenso, una lunga video- intervista proprio nello stabile in cui venne alla luce 87 anni fa. Ne riportiamo alcuni interessanti frammenti:
“Sono nato al faro di Anzio il 27-5-1926. Mio padre Vincenzo Cortese, originario di Casoria (Napoli), militare nella Regia Marina aveva partecipato alle operazioni di occupazione dell'Albania sul finire della prima guerra mondiale (1918). Successivamente fece domanda per il servizio nei fari, che venne accettata. La prima destinazione fu il faro nel porto di Napoli, cui seguì nel 1920 il trasferimento al faro di Anzio, dove prestò servizio fino al 1948.
Eravamo una famiglia composta da 6 persone ; papà, mamma e 4 figli: tre maschi ed una femmina. Mio padre affidava a noi figli dei piccoli lavoretti per aiutarlo nel servizio. Anche mia mamma lo aiutava nelle pulizie della Reggenza.
Cortese sulle scale a chiocciola del faro di Anzio
Inizialmente al faro c'era anche un altro collega fanalista, ma poi rimanemmo soli. Mio padre divenne così capo fanalista, unico responsabile del funzionamento del faro e dei segnalamenti al porto; funzionamento che doveva essere garantito anche nelle più avverse condizioni meteorologiche e del mare.
Si saliva sul faro una volta al giorno per dare la carica all'ottica rotante del faro, circa 120 giri di molla dati manualmente, un lavoro piuttosto faticoso. Le scale a chiocciola erano tutte in ferro; ricordo che da ragazzo le salivo tutte di corsa. 
La notte in caso di avaria del faro scattava un allarme acustico. Dovevamo allora provvedere subito alla riattivazione del servizio; se il danno era grande accendevamo dei lumi a petrolio o il piccolo faro di riserva a gas.
Abbiamo trascorso al faro quasi tutto il periodo di guerra: ricordo che arrivavano spesso dei fonogrammi dalla Marina per comunicarci i codici con cui dovevamo impostare il funzionamento del faro, cioè dovevamo regolare ogni volta la durata delle emissioni di luce e delle oscurità. A mio padre consegnarono anche un moschetto, che però non utilizzò mai.
Cupola del faro di Anzio
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 la vita tranquilla che conducevamo al faro terminò. Alcuni tedeschi avevano già occupato il faro, mentre il loro comando era a Villa Sarsina. Con noi comunque si comportavano bene: ricordo un maresciallo tedesco molto colto e affabile che si intratteneva con mio padre giocando a carte. Ma l'8 settembre improvvisamente si intristirono, caricarono frettolosamente le loro cose negli zaini e scapparono senza darci alcuna spiegazione, posizionandosi a circa 200 metri dal faro, sul ponte della ferrovia. Salimmo sulla torre per vedere dove fossero andati, ma i tedeschi cominciarono a sparare nella nostra direzione con la mitragliatrice. Per fortuna riuscimmo a non essere colpiti. Il faro ancora oggi presenta i buchi provocati dalle raffiche.
Continua Cortese: “Noi al faro avevamo dei permessi speciali e rimanemmo nella Reggenza fino a quando i tedeschi diedero alla popolazione l'ordine di sfollamento, nell'intenzione di minare tutto il porto. Fummo così costretti ad abbandonare il faro. I tedeschi ci portarono nella zona di Campo di Carne, dove abbiamo vissuto i giorni dello sbarco degli alleati. Li vedemmo arrivare già nella mattina del 22 gennaio 1944. 
Tutta la popolazione di Anzio per lo più era sfollata nelle campagne intorno a Campo di Carne e in località “la Campana”. Qui assistemmo ai frequenti bombardamenti ed alle terribili cannonate del cannone tedesco (il temibile Leopold) che sparava su Anzio dai Castelli Romani. In quel periodo lavorai nelle cucine degli americani, che reclutavano personale per i servizi più umili. Io ebbi l'incarico di capo-sguattero ed a sera, insieme ad altri ragazzi di Anzio, tornavamo in campagna con il pasto per i nostri famigliari.
Successivamente ci imbarcarono per Napoli, dove alloggiammo al Cottolengo. Mio padre, che era rimasto ferito da una granata tedesca, era ricoverato nell'ospedale della Marina Militare, sempre a Napoli.
Antonino Cortese
Rientrammo ad Anzio dopo la liberazione di Roma nell'estate 1944 e riattivammo il faro. L'edificio era in condizioni miserabili, parzialmente distrutto e spoglio di porte, finestre e quant'altro che era stato prelevato dagli anglo-americani per le loro necessità. Al rientro avevamo trovato gli inglesi che si  fermarono ancora qualche giorno. La fame era molta, avevamo perso tutto. Mio padre aveva comprato un appartamento ad Anzio, che era stato distrutto dai primi bombardamenti. Ci aiutarono gli americani, che avevano ancora una batteria nella zona dell'Arco muto. Ci siamo fatti voler bene: loro ci regalavano scatolette di cibo ed altri generi alimentari. 
Dopo qualche tempo gli americani si spostarono a Civitavecchia e, in quel duro dopoguerra, cominciammo a ricostruire la vita di tutti i giorni al faro...
Anche la bellissima cittadina balneare della mia infanzia doveva risollevarsi e tornare ai vecchi splendori!!!...”.

Da video-intervista effettuata dall'Associazione “un ricordo per la pace”, in un progetto che a breve vedrà realizzata una nuova serie di documentari storici sul periodo della seconda guerra mondiale.
Foto di Elisa Bonacini: si ringrazia il C.F. Paolo Pulino, Comandante Mariseziofari Napoli.
Le informazioni sul Servizio Fari provengono da Marina Militare Italiana.


Pubblicato su "Il Giornale del Lazio" il 1 agosto 2013

Pagina 30 de "Il Giornale del Lazio" del 1 agosto 2013

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